Google

mercoledì 22 aprile 2009

Ma alla fine per i terremotati l’euro non l’ho donato (una risposta che le vale tutte)

Ecco la seconda parte :

"Ho ricevuto nell’ultima settimana migliaia di messaggi, centinaia di mail. Sono stato
protagonista (e un po’ vittima) dello spietato meccanismo dell’informazione: interviste a raffica,
domande a volte fuori luogo (“può essere il suo il manifesto di una nuova sinistra?”, “pensa di
candidarsi alle europee?”), attacchi di pancia, critiche giuste e non.

Vedevo grandissima agitazione intorno a me, mentre io mi tranquillizzavo appellandomi ad
una piccola verità di Stefano Benni: “In Italia ogni tipo di sgomento nell’opinione pubblica dura in
media tre giorni”.

Il quarto giorno finalmente è arrivato, gli animi si sono calmati e posso dare una risposta a
tutti, da chi mi voleva santo, a chi mi credeva porco.

L’editoriale “Scusate ma per i terremotati non do nemmeno un euro” è nato sabato pomeriggio,
vigilia di Pasqua, al termine di una settimana in cui sentivo di giorno in giorno crescere dentro
uno stato di ansia, indignazione, rabbia, per i fatti successi in Abruzzo.
Stavo male, e non sapevo il perché. Così, non ce l’ho fatta a tenere dentro tutto il dolore che provavo per quello che avevo visto e sentito sul terremoto e ho deciso di utilizzare lo spazio delle lettere di www.marsala.it non per rispondere ad un lettore ma per rispondere ad un paio di domandine mie: “Cosa provi di fronte a quello che vedi?”, “Perché stai così male?”.
E l’ho fatto.
Poi ogni cosa è venuta da se. Il commento ha fatto in poche ore un primo giro sui blog, poi è approdato su Facebook. I social network sono degli amplificatori di contenuti: se c’è un’idea che viene avvertito da molti come un sentimento comune, allora quel pensiero gira, e non conosce ostacoli.
Il mio sfogo è stato ripreso e segnalato da centinaia di altri siti. Inviato via mail (anche a me!) come catena di Sant’Antonio. Poi ci si è messo Sofri, e Anno Zero, e La7, e la Rai, e tutto il resto….
Ho fatto decine di interviste, come se fossi una star. In realtà non volevo che si parlasse di me, ma di quello che avevo scritto, per dar voce ad una fetta di persone (una minoranza? credo di no) stanche di certi rituali.
Fatto ciò, mi sono ritirato in buon ordine. Proprio perché sono un comunicatore, il mio ruolo non è quello di indicare soluzioni, ma di dare voce ai pensieri e alle idee, anche quando sono scomode. Ma non ho soluzioni. Come un buon portiere di calcio: bravo per quanto puoi essere,più dello zero a zero non puoi fare.
In altre parole, per quelli che mi hanno chiesto: qual è la soluzione a tutto quello che tu hai
denunciato? La mia risposta è : non lo so. La corruzione è per certi aspetti endemica in Italia.
L’unico contributo che noi cittadini possiamo dare per ricostruire l’Italia (cominciando proprio dall’Abruzzo) è fare ognuno, bene, il proprio dovere.
Purtroppo però il senso della responsabilità si è perso. Ed è proprio per questo che io l’euro non l’ho voluto dare. Anche se ho fatto una cosa molto più importante (il mio dovere): ho voluto guardare l’orrore del terremoto, e dell’Italia del terremoto, negli occhi. Nell’attesa che quell’Italia
mi restituisse lo sguardo.

Il successo di quello che ho scritto è la testimonianza che qualcosa si muove. Ma i nodi dell’informazione e della formazione fanno parte di un sistema culturale che non mira a fare crescere un’opinione pubblica attiva. Al popolo bambino basta il calcio la domenica e i culi delle ballerine in tv. Il malcostume viene riconosciuto per furbizia, scaltrezza. Pochi si ribellano. Ogni tanto si aprono – come in questo caso – dei momenti di verità, quasi che il velo si squarciasse.
Ma dura solo pochi attimi. E’ “la pioggia che si trasforma in luce” dell’”Eleganza del Riccio”.
Poca cosa. Ma vale già di suo la pena per pensare, in attimi di ottimismo incontrollato, che forse questo paese lo stiamo già cambiando e che una rivoluzione può vivere anche di episodi minimi come il mio.

Questa storia ha comunque un epilogo.

Ad un certo punto hanno scritto e chiamato in redazione alcune persone. Chiedevano di me e mi dicevano: “Guarda, sono d’accordo con quanto hai scritto. E’ per questo che ho deciso di donare un euro anche per te”. Erano persone anziane, per lo più. Nella loro voce c’era il tono sommesso che hanno gli anziani quando cercano di mettere pace tra le persone e nelle cose.
Che pecoroni, ho pensato. Uno dice “non do un euro” e invece provoca l’effetto contrario.
Un po’ mi sono sentito prigioniero. Credo di aver raccolto indirettamente 12 – 15 euro, proprio
io, che di euro non ne darò neanche uno.
Erano anziani anche quelli che mi scrivevano via mail con lo stesso messaggio: “Do un euro anche per te”. Manifestavano la loro età nella scrittura rigida e nella digitazione incerta di chi non ha assolutamente confidenza con la tastiera: caratteri in maiuscolo, rispetto estremo della forma, modi da carta uso bollo.
Erano anziani.
Pecoroni.
Poi ho pensato alle parole di Sofri (anche lui anziano, in fondo …). E al fatto che - alla fine di
tutto – c’è un valore che ci fa camminare comunque a testa alta. Ed è la nostra dignità.
Ho pensato che molte famiglie oggi campano grazie alla pensione del nonno, che molti miei coetanei precari vivono grazie ai genitori, che lo stato sociale oggi, realmente, sono gli anziani.
Un lettore una volta mi ha scritto: sa cos’è la povertà? Portare la mia bambina dai nonni una volta a settimana per farle mangiare una fettina di carne.
Quelli che lo Stato dovrebbe assistere si fanno loro stessi Stato quotidiano. E una manciata di questi ha anche stiracchiato silenziosamente un altro po’ la pensione per versare un euro in più per i terremotati: il mio.
Io sono povero tra poveri. E dai poveri ho imparato che quando credi che tutto sia finito, ti può sempre arrivare un alito di fiducia.
L’euro non l’ho donato. Troppa rabbia dentro. Mi considero sospeso da cittadino italiano e non
ho motivo per tornare indietro. Ma ringrazio quelle persone che si sono sentite in dovere di
sobbarcarsi un doppio dolore: il dolore dei terremotati, e il dolore di chi per la rabbia è rimasto
senza parole.

Due monete, hanno versato.
Una di carità.
L’altra di speranza.

Mia madre, proprio lei, è stata la prima."
Giacomo Di Girolamo

Nessun commento:

Posta un commento