Google

domenica 27 novembre 2011

Conto di deposito

In questi tempi di crisi, il miglior prodotto finanziario per investire i propri risparmi è il conto di deposito.
Il primo istituto bancario in Italia a proporlo è stato il colosso olandese ING DIRECT con il suo Conto Arancio.
Il conto di deposito non è altro che un "salvadanaio" dove a fronte di versare i risparmi si riceve un buon interesse, sicuro, al netto della ritenuta fiscale che sui conti di deposito (che sono assimilati ai conto correnti in quanto vi si agganciano) è pari al 20% (per alcuni fino al 31/12/2011 sarà ancora del 27% ma con la legge Tremonti di Agosto, l'aliquota si abbasserà al 20%).
In genere è un conto che si apre via internet, gratuitamente e senza costi di gestione e di uscita.
L'interesse varia da un minimo dell'1% fino al 5% (in Italia) per le somme vincolate.
In genere esistono 2 modalità :
a somma libera : praticamete il denaro è sempre a disposizione e si può prelevarlo quando si vuole, in questo caso il tasso d'interesse varia dall'1% al 3% in media.
vincolato : si può vincolare la somma per 3,6,9,12,18,24 mesi ed in genere questi soldi non sono disponibili ( a meno che non si voglia poi rinunciare all'interesse maturato in caso di uscita prematura) fino a scadenza. In questo caso i tassi sono più alti e vanno dal 3,5% al 5% in media.
I conti di deposito sono sicuri, senza costi e facili da usare.
Oltretutto essendo assimililati ai c/c bancari usufruiscono della copertura statale fino a 100.000 euro in caso di fallimento della banca (Fondo interbancario di tutela dei depositi)

Nei prossimi post : miglior conto di deposito italiano, miglior conto corrente italiano

Italiani verso la svizzera e Germania stampa marchi

Sui blog di mezzo mondo in questi giorni si legge della clamorosa notizia che la Germania stia stampando nuovi marchi perchè voglia uscire dalla zona euro.
Per la Germania il contraccolopo non sarebbe durissimo come lo sarebbe per l'italia,
in quanto il rapporto euro/marco per i tedeschi è stato quasi di 1:1 mentre per noi italiani se volessimo tornare alla vecchia lira sarebbe un tracollo spaventoso in quanto i nostri debiti raddoppierebbero matematicamente ma cosa ben peggiore sarebbe l'enorme svalutazione che ci portiamo dietro da decenni (leggi NON CREDIBILITA').
Amici e colleghi mi chiedono se conviene togliere i risparmi dalle banche e metterli sotto il materasso.
Niente di più sbagliato.
Oltre al rischio (reale) di esser derubati,dai ladri tradizionali, il rischio di uscita dall'euro significherebbe che i soldi contanti equivarrebbero a carta straccia.
Oltretutto nel caso (remoto) di tracciatura completa delle transazioni cioè moneta elettronica senza contante (la proposta Gabanelli per intenderci)si potrebbe incorrere in 2 ipotesi pazzesche: contante tassato notevolmente e/o si potrebbe incorrere in qualche reato penale pari al riciclaggio.
Negli ultimi mesi si sta assistendo anche all'apertura di c/c svizzeri da parte di italiani che vogliono tutelare i loro risparmi in caso di default.
Voglio ricordare che l'apertura di un c/c all'estero non è reato se si denuncia il c/c nella dichiarazione dei redditi.
Dal punto di vista fiscale, per i residenti in Italia, si devono dichiarare gli interessi percepiti sul conto estero (quadro RM) per le cifre che si trasferiscono. Si può dedurre l’aliquota estera già pagata e si paga l'aliquota italiana (la % varia a seconda del reddito).


Nei prossimi post ci occuperemo anche di c/c e conti di deposito esteri oltre che italiani.

sabato 19 novembre 2011

Il modo più semplice per inviare file fino a 2gb : WE TRANSFER

WE TRANSFER è il modo più semplice per inviare file fino ad una dimensione (per ora) di 2 Gigabyte.

Basta conoscere solo email destinatario ed allegare il file.

Niente di più semplice

giovedì 10 novembre 2011

Lo scenario in caso di default italia di Maurizio Ricci

Ottimo articolo di Maurizio Ricci, pubblicato oggi su Repubblica.



LO SCENARIO

Fuga di capitali e blocco dei conti cosa succede se l'Italia fallisce.


Se non si inverte la rotta, tre scenari fino all'addio all'euro. Dall'ipotesi di bancarotta pilotata modello Grecia a quella modello Argentina. Ubs: per recuperare la competitività persa, vi servirebbe una svalutazione monetaria del 25%. di MAURIZIO RICCI
ROMA - Mettiamo che sono già i primi giorni di dicembre e voi uscite di casa per cominciare a comprare i regali di Natale. Vi fermate ad un bancomat per rimpinguare il portafoglio, infilata la carta, ma non succede niente: il prelievo non è disponibile. Provate ad un secondo Bancomat, ad un terzo, ma è dovunque la stessa storia. Nel negozio, il titolare declina cortesemente di accettare la vostra carta di credito e chiede euro contanti. Che succede? Un black-out elettronico? No. Succede che, mentre voi non eravate attenti, l'Italia ha dichiarato default, è uscita dall'euro e sul paese è sceso un black-out non elettronico, ma finanziario.

L'ipotesi è ancora remota. Esiste ancora la possibilità di fermare il collasso del debito pubblico italiano, riguadagnando credibilità presso gli investitori e/o salutando l'arrivo del Settimo Cavalleggeri, sotto forma di Bce o Fmi. Ma, se la traiettoria dei mercati resta quella disegnata in queste ultime ore, quell'ipotesi rischia di materializzarsi. Si chiama, comunque, bancarotta, ed è, in ogni caso, una sciagura, ma può assumere forme diverse: bancarotta dolce ("orderly default"), bancarotta extra strong ("disorderly default"), bancarotta con il botto (l'uscita dall'euro).

La bancarotta dolce. E' quanto è già stato previsto per la Grecia. Sostanzialmente, un concordato fallimentare. I creditori accettano un taglio al valore nominale dei titoli italiani e un tetto al relativo tasso di interesse. L'Italia alleggerirebbe il suo debito pubblico (ad esempio del 30 per cento), portandolo a livelli più vicini a quelli di paesi più virtuosi. Collocare nuove emissioni presso investitori già scottati, tuttavia, comporterebbe tassi di interesse relativamente alti. Per i risparmiatori, infatti (il 12 per cento dei titoli è in mano alle famiglie, un altro terzo lo detengono i fondi) il taglio sarebbe una pesante tosatura.

Ancora più gravi gli effetti macroeconomici. Le banche, italiane ed estere (gli istituti francesi e tedeschi hanno in pancia circa 150 miliardi di euro in titoli pubblici italiani) accuserebbero forti perdite di bilancio e avrebbero bisogno di aiuti per ricapitalizzarsi: in ogni caso, ridurrebbero il credito alla clientela, in un momento in cui l'Europa è già sull'orlo della recessione. E' il temuto "credit crunch"

La bancarotta extrastrong. E' il caso Argentina: il default selvaggio. L'Italia annuncia che non pagherà più i suoi debiti, togliendo dal tavolo quasi 2 mila miliardi di euro. Almeno per qualche anno, nessun investitore estero ci presterebbe più soldi. Tecnicamente, non è un problema gravissimo: lo Stato continuerebbe a funzionare. Al netto degli interessi, infatti, il nostro bilancio è quasi in pareggio. Ma gli effetti economici sarebbero devastanti. Il rischio di fuga dei capitali - già presente nello scenario "dolce" - diventerebbe immediato. Oltre allo Stato, anche le aziende italiane si vedrebbero chiudere l'accesso ai mercati. Ma, soprattutto, l'impatto sulle banche e sul sistema finanziario mondiale sarebbe enorme e il "credit crunch" una certezza.

La bancarotta con il botto. E' quasi impossibile che un default selvaggio non comporti anche un'uscita dell'Italia dall'euro. Tecnicamente, è un incubo: bisognerebbe rivedere i trattati europei e rivotarli, stampare la nuova moneta, riprogrammare computer e bancomat con la nuova valuta. Ma, economicamente, è molto peggio: all'impatto del default selvaggio bisogna aggiungere nuovi elementi. La fuga di capitali diventerebbe una certezza, nel tentativo di spostare i propri euro all'estero, prima della conversione.

Agli sportelli delle banche, ci sarebbe l'assalto. Verrebbero varati stringenti controlli sui movimenti di capitali e, probabilmente, ci sarebbe anche un congelamento dei conti correnti bancari, come in Argentina. La nuova moneta sarebbe svalutata, rispetto all'estero. Questo rilancerebbe le esportazioni (escludendo ritorsioni commerciali da parte degli ex partner europei), ma l'Italia, uscendo dall'euro, uscirebbe anche dall'Unione europea e non potrebbe più usufruire dei vantaggi del mercato unico.

La svalutazione, d'altra parte, rende più competitive le esportazioni italiane, ma rende assai più care le importazioni, a cominciare dal petrolio. Il risultato sarebbe veder ripartire, di gran carriera, l'inflazione e la rincorsa prezzi-salari. Molto dipende dall'entità della svalutazione che, però, è difficilmente gestibile: per riguadagnare la competitività perduta, negli ultimi dieci anni, verso la Germania, all'Italia occorrerebbe un deprezzamento della moneta del 25%.

Ma il crollo della nuova lira, secondo gli analisti dell'Ubs, sarebbe inizialmente molto più alto, fino al 50-60%. Per questo, gli esperti della banca svizzera (che ipotizzano barriere commerciali nel resto d'Europa contro i prodotti italiani a costo stracciato) calcolano che il Pil italiano potrebbe inizialmente contrarsi anche del 40%. All'Ubs sono, probabilmente, troppo pessimisti, ma il punto è che l'introduzione della nuova lira sarebbe assai diversa dalle svalutazioni della vecchia, perché rimarrebbero valide le precedenti obbligazioni dell'euro.

I debiti fra italiani potrebbero essere ridenominati in un rapporto uno a uno (una nuova lira per un euro): chi ha un mutuo di 100 mila euro, si troverebbe con un mutuo di 100 mila nuove lire. Ma quelli esteri resterebbero in euro, da pagare con una moneta svalutata del 50-60 per cento.

Per una economia, come quella italiana, profondamente integrata in Europa, sarebbe un massacro: molte aziende, con incassi in lire e debiti in euro, finirebbero schiacciate e, a catena, dovrebbero chiudere.